venerdì 25 dicembre 2015

Patrizia Quattrocchi

di Manuela Curci

"Si muore per lasciare il meglio di sè a quelli che ti hanno saputo leggere". Sono le parole di Goliarda Sapienza, la scrittrice più amata di Patrizia, autrice del nostro libro di riferimento  L'arte della gioia, primo libro in assoluto che Pat mi regalò otto anni fa, essenziale e fondamentale per cogliere la natura di Pat, quella più profonda, quella celata. Fu come dirmi leggilo subito Manu, ti presento una parte di me, percepisci l'animo della protagonista perchè io sono ANCHE cosí, la mia indole è ANCHE questa, io sono TANTO ALTRO. Lo lessi in un fiato...caspita Pat, welcome! Anch'io cerco di essere libera, anch'io vivo momenti, anche io sperimento e sono una donna complessa: mi piaci, affiniamo quest'arte insieme!
Mica facile però, le pagine sono un'esplosione di vitalità, intelligenza, trasgressione e dolore, tanto dolore quindi non sempre siamo state all'altezza...in realtà la vita che la gente crede che tu stia vivendo spesso prende il sopravvento e quindi, in quei momenti, improvvisando, più che l'arte della gioia abbiamo affinato l'arte del cazzeggio, con buona pace di tutti! E su questo ci abbiamo riso sopra tantissimo, due adolescenti dalla risata irrefrenabile guardate con affetto paternalistico persino dai propri cani spesso unici e fortunati spettatori di tanta spensieratezza. Quindi attraverso  questa testimonianza raccogliete, se volete, il suo dono e fatevi penetrare perchè, ripeto con lei

"si muore per lasciare il meglio di sè a quelli che ci hanno saputo leggere".

Care donne di tutto il mondo, questo è il mio tributo a Patrizia, 50 anni, la mia amica del cuore morta lo scorso 1 dicembre per un cancro al seno metastatico, ricordarla con chi probabilmente ha la stessa malattia in questo momento mi pare la cosa migliore in assoluto, con chi se non con voi parlarne il giorno di Natale? Come dice Grazia, il cancro non conosce le Feste!
Pat ed io vi abbracciamo forte forte.

lunedì 14 dicembre 2015

Jennie, un fuscello d'acciaio





Di ritorno dal San Antonio Breast Cancer Symposium, la piu` importante conferenza sul cancro al seno del mondo che si tiene ogni anno negli Stati Uniti e a cui ho potuto partecipare grazie a una scholarship di Advocates for Breast Cancer, organizzazione no profit fondata e diretta da Susan Zager, donna coraggiosa, intraprendente e simpaticissima [qui].
E` stata una settimana intensa, piena di emozioni. Sono ancora frastornata dal jet lag e scrivero` nei prossimi giorni degli aspetti scientifici del simposio. Sento, pero`, l'urgenza di raccontare dell'incontro con una donna straordinaria, Jennie Grimes.
Jennie e` cresciuta in Colorado, ma adesso abita a Los Angeles con il suo compagno, Connor, e il loro cane, Fala. Jennie si e` ammalata di cancro al seno a soli 27 anni. Tre anni dopo, le metastasi. Oggi Jennie di anni ne ha 35 e la sua vita e` costellata di terapie, inclusa la chemio, ed effetti collaterali molto pesanti. Prima di ammalarsi, Jennie lavorava per la AIDS Coalition to Unleash Power (ACT UP) che, attraverso l'azione diretta, si batte per porre fine alla pandemia di AIDS [qui]. Sulla base di questa esperienza, Jennie ha fondato insieme ad un'altra attivista metastatica, Beth Caldwell di Seattle, un'organizzazione chiamata MET UP il cui focus e` la cura del cancro al seno metastatico, quello che uccide ma di cui ci si occupa troppo poco [qui].
Jennie e` un fuscello. I 5 anni di trattamenti per il cancro al seno metastatico sono stati stremanti. Gli ultimi esami, effettuati qualche giorno prima di partire per il simposio (a cui anche lei ha partecipato grazie alla generosita` di Advocates 4 Breast Cancer), hanno rivelato una progressione della malattia. Bisognera` passare ad altro. Anche se non e` ancora chiaro a cosa. E soprattutto per quanto, La grinta, pero`, non puo` togliergliela nemmeno il padre eterno in persona.
E` giovedi 10 dicembre, il secondo giorno del simposio. Le advocates partecipano, per tutta la durata dell'evento, a delle sessioni dedicate a loro organizzate dalla Alamo Breast Cancer Foundation, durante le quali viene offerta loro la possibilita` di fare domande su quanto discusso nel corso delle sessioni scientifiche a esperti di rilievo internazionale [qui]. Jennie nel pomeriggio e` rimasta in albergo per via della nausea che la perseguita, ma, infagottata in una giacca nera che ne sottolinea ulteriormente la magrezza, si e` presentata alla sessione della Alamo Foundation.
Durante la sessione plenaria del pomeriggio sono stati presentati i risultati di uno studio sulle mutazioni somatiche nei tumori primari e in quelli metastatici condotto attraverso il prelievo di campioni di tessuto dal corpo di donne morte di cancro al seno che avevano dato il loro consenso all'effetuazione di un'autopsia entro sei ore dalla morte. Una decisione elogiata, nel corso della sessione per le advocate, da Hyman Muss, docente presso la University of Carolina Chapel Hill e direttore della divisione di oncologia geriatrica del Lineberger Comprehensive Cancer Center [qui].
Due microfoni sono posizionati ai lati del salone in cui le advocate, da brave scolarette, ascoltano le opinioni degli illustri clinici e pongono dilingentemente le loro domande mentre sorseggiano la limonata rosa loro offerta. Jennie e` l'ultima della fila. Cosa vorra` chiedere? Quando finalmente arriva il suo turno, la moderatrice dichiara che il tempo e` scaduto e non e` piu` possibile fare domande. Jennie e` un fuscello si, ma alla sua domanda non ha intenzione di rinunciare. "Devo fare la mia domanda adesso, perche` l'anno prossimo potrei essere morta", esclama afferrando il microfono e destando lo stupore di tutti i presenti. E continua:

"Mi chiamo Jennie Grimes e rappresento MET UP. Ho ricevuto la diagnosi di cancro al seno metastatico a 30 anni. Come ci avete ricordato questa sera, ci sono molti studi importanti che, tuttavia, non avranno effetti sulle terapie questo lunedi, per quelle di noi che andranno in ospedale questo lunedi` o il prossimo. In cosa dobbiamo sperare, a parte le autopsie rapide che, sicuramente, sono di grande aiuto per la scienza ma non lo sono affatto per le 113 di noi che muoiono ogni giorno [negli Stati Uniti, ndr]?".

Un applauso scrosciante saluta la domanda di Jennie a cui gli illustri clinici, imbarazzati, rispondono con vaghi riferimenti alla possibilita` di arruolamento in non meglio precisati studi nei quali pero` le donne come Jennie, in trattamento per le metastasi da molti anni, non vengono accettate.
Cosa fara` allora questo straordinario fuscello d'acciaio? Continuera` a porre domande, conquistandosi da sola il diritto a farlo, con la speranza che in un futuro non troppo lontano alle donne nella nostra situazione - si, nostra, perche` siamo tutte metastatiche - non vengano offerte solo autopsie rapide ma soluzioni concrete. E la vita che oggi ci viene negata. Grazie, Jennie. 

sabato 5 dicembre 2015

Un intervento di Marco Peano su Minima et Moralia

E` uscito oggi su Minima et Moralia (qui) un intervento di Marco Peano sul difficile ruolo di caregiver, pubblicato in inglese per il numero speciale del Breast Cancer Consortium Quarterly del 13 ottobre 2015 (giornata internazionele del cancro al seno metastatico) curato da me (Grazia De Michele) e Cinzia Greco (qui)

Leggete e fate leggere l'intervento di Peano su Minima et Moralia e ricordatevi di votare il suo romanzo L'Invenzione della madre come libro dell'anno della trasmissione radiofonica Fahrenheit.Per farlo inviate, entro il 7 dicembre a fahre@rai.it, indicando come oggetto "Libro dell'anno". Nel testo della mail, invece, scrivete “L'invenzione della madre, Marco Peano, minimum fax".

mercoledì 2 dicembre 2015

Vota L'Invenzione della madre libro dell'anno di Fahrenheit



Estate. Una sera di luglio. Caldo torrido. A stento si respira. Il mal di denti sembra ancora piu` insistente nella cappa di umido che ti si appiccica addosso. Maledetto il dentista inglese che mi ha lasciato la guerra in bocca costringendomi a ingoiare per giorni un antidolorifico dietro l’altro!
Sono a casa, in Italia, adesso. Per fortuna. Un altro medico mi visitera` presto. Decido di fare una passeggiata per rivedere il natio borgo selvaggio e scaricare il nervosismo. Percorro le strade dell’adolescenza, quelle che mi portavano scuola. Mi sembra di rivedere le compagne e i compagni di classe che incontravo lungo il tragitto. Succede ogni volta che gironzolo in quelle zone. E ogni volta, un velo di nostalgia mi copre gli occhi. Non mi mancava la mia citta` di origine prima di ammalarmi. Il cancro pero` ti priva del futuro e ridisegna il passato. Lo riplasma, proiettandolo in una luce mitica e facendolo apparire felice e spensierato solo perche`, allora, la malattia non c’era.
Ecco che sono davanti all’unica buona libreria della citta`. Ovviamente l’hanno aperta quando ero gia` partita. Entro, come sempre quando ritorno. C’era un libro di cui avevo letto delle recensioni online. Un libro su una madre che muore e suo figlio, Mattia. Si chiama L’Invenzione della madre e l’autore e` un esordiente, Marco Peano (qui). E` uscito con Minimum Fax, una casa editrice indipendente, che pubblica parecchie cose interessanti. Non voglio chiedere al librario se ce l’abbiano in negozio. Che sfizio ci sarebbe? Mi aggiro tra gli scaffali. Del libro pero` non c’e` traccia. Sto per imbroccare l’uscita quando, accanto alla porta, intercetto con lo sguardo una pila di copie. Sopra al mobile, la scritta “i piu` letti”. Comincio a sfogliare il volume. In epigrafe, una frase di un tale Donald Antrim (scopriro` solo in seguito, grazie a Google, che si tratta di uno scrittore statunitense):

“La storia del deterioramento di mia madre, durato una vita, e`, per alcuni versi, la storia della sua vita stessa. La storia della mia vita e` intrinsecamente legata a questa storia, la storia del suo deterioramento. E` la storia intorno alla quale ruota costantemente il mio modo di percepire me stesso e gli altri. Sara` questa storia, o in ogni caso il mio ruolo in questa storia, a permettermi di non perdere mia madre”

Quella parola, deterioramento, mi manda il cuore in subbuglio. Mi tuffo nel libro, investita dai caratteri e dalla luce che riflette sul bianco delle pagine. Ne cerco un’altra. Una parola conosciuta e orrenda. Ed eccola che mi esplode dentro. Cancro. Continuo quella che mi sembra una corsa disperata alla ricerca della verita`. La stessa verita` crudele rivelatami da una dottoressa prostrata e incredula qualche mese dopo il mio trentesimo compleanno, ormai cinque anni fa. E la verita` e` quella che sospettavo. Un cancro al seno, seguito, dopo anni di interventi chirurgici, terapie e speranze, da una ricomparsa della malattia al cervello. E` troppo. Le lacrime mi invadono la faccia. Ripongo il libro dov’era e scappo. Corro via, veloce. Voglio sentire che ce la faccio ancora. Sono gia` abbastanza lontana quando mi fermo e mi rendo conto che non posso voltare le spalle alla storia di quella donna e di suo figlio. A cosa servirebbe? Forse ad azzerare magicamente le possibilita` che anche io mi riammali e muoia? Certo che no. E che dire del dovere morale di porgere orecchie e cuore a chi ha percorso un cammino piu` accidentato di quanto sia stato il mio sino ad ora?
Torno indietro. Rientro nel negozio. Il libraio mi guarda. Forse pensa che io sia una squilibrata, ma non me importa. Afferro una copia e mi avvicino alla cassa. Pago. Prendo la busta. Rifaccio, questa volta camminando, il tragitto percorso poco prima correndo come una forsennata e il tratto che resta per arrivare a casa. Suono il campanello. C’e` mia madre ad aprirmi la porta. Da brava bibliofila, riconosciuta la busta della libreria, mi chiede avida cosa ho comprato. Risposta secca: “ un libro che non devi leggere”.
Mi chiudo in camera. Appoggio il libro sul comodino. Piu` tardi, prima di mettermi a letto, lo guardo. No, non ho il coraggio. Leggero` l’ebook che ho scaricato ieri. Sara` cosi` per una settimana intera. Finche` una sera non mi decido. Inizio la lettura e non riesco piu` a smettere.
Il deterioramento della madre – il cui nome non viene mai fatto, come se il narratore volesse mettere una distanza tra se` e la di lei vicenda – viene descritto con precisione chirurgica, al pari  dei cambiamenti, dolorosi, occorsi nella vita della famiglia della donna durante il suo ultimo anno di vita. Un tema difficile, scomodo che l’autore affronta con maestria, supportato da un coraggio editoriale che raramente si vede in Italia. Non sono un’esperta, ma credo si tratti del primo libro italiano che abbia per oggetto principale la morte per cancro di una donna e i faticosi tentativi di elaborare il lutto da parte di suo figlio. Eppure si tratta di un’esperienza comune a moltissime persone ed era ora che qualcuno si decidesse a raccontarla. Chiunque abbia avuto a che fare con il cancro, a prescindere dall’esito, deve molto a Marco Peano. Ed e` per questo che vi chiedo di votare L’invenzione della madre - che ha gia` fruttato al suo autore il meritatissimo Premio Volponi Opera Prima 2015 - come libro dell’anno per la trasmissione Fahrenheit di Radio Tre. Per farlo inviate, entro il 7 dicembre (ma fatelo subito, altrimenti ve ne scordate), una mail all’indirizzo fahre@rai.it con oggetto "Libro dell'anno". Nel testo della mail, invece, scrivete “L'invenzione della madre, Marco Peano, minimum fax”. E ovviamente comprate il libro, leggetelo e fatelo leggere.

Ascolta l'intervista a Marco Peano a Fahrenheit (qui)

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venerdì 27 novembre 2015

Finalmente un post equilibrato su carne e cancro

Carne e cancro. Finalmente un post equilibrato pubblicato sul blog di Michela Sandias, una carissima amica delle Amazzoni Furiose oltre che esperta in nutrizione umana. Leggetelo qui e fatelo leggere. E ovviamente seguite Nutrizione in Podcast: la prima podcast review italiana di scienze della nutrizione.

Di seguito la presentazione di Michela

"Il cibo è stato il tema della mia tesi di dottorato: cibo ambiente clima e le scelte alimentari che gli antichi abitanti di una regione prossima al fiume Giordano facevano per se stessi e per i propri animali. Il master in "Alimentazione ed Educazione alla Salute" è venuto dopo e mi ha permesso di riconsiderare alcuni di quei temi nel mondo di oggi. Durante tre mesi di lavoro presso una grossa azienda di ristorazione collettiva ho potuto avvicinarmi ad un altro argomento molto attuale: il rapporto tra costo, modo e luogo di produzione e qualità di un prodotto alimentare. Ho poi imparato molto sull'HACCP che è stato l'argomento della mia tesi di master. Diete speciali e etnico-religiose erano pane quotidiano nell'ufficio dove mi hanno ospitato. Ho avuto anche la fortuna di prendere parte ad una lezione di educazione alimentare. Quando indosso le cuffie per ascoltare i podcast, sono alla ricerca dell'evidenza scientifica che supporti le abitudini alimentari buone per la nostra salute, buone per l'ambiente e per chi produce in piccolo e riesce a distribuire localmente; e buone, infine, per la salvaguardia del patrimonio culturale del territorio."

venerdì 13 novembre 2015

Le Amazzoni Furiose al San Antonio Breast Cancer Symposium

Ogni anni a San Antonio, in Texas, si tiene una grande conferenza nota come San Antonio Breast Cancer Symposium [qui]. E` un evento molto importante, durante il quale vengono presentati risultati di studi sul cancro al seno e a cui sono ammessi anche i pazienti in qualita` di advocate. La Alamo Breast Cancer Foundation organizza delle sessioni speciali in cui i pazienti possono interagire direttamente con ricercatori e clinici e fare domande [qui].
Quest'anno, grazie alla generosita` di Advocates for Breast Cancer [qui], che mi ha assegnato una borsa per coprire le spese di viaggio dall'Europa, di soggiorno e quelle per la registrazione alla conferenza, avro` l'onore di rappresentare Le Amazzoni Furiose al simposio.
Saro` negli Stati Uniti dal 7 al 13 dicembre. Mi piacerebbe che utilizzassimo questo mesetto scarso che manca alla mia partenza per confrontarci sulle questioni che ci stanno piu` a cuore e su cui vorremmo sapere di piu` ed esprimerci. Lasciate pure un commento (o anche di piu`) o inviate una mail. E` un'occasione unica per le donne italiane di far sentire la propria voce. Non sprechiamola. E grazie ad Advocates for Breast Cancer!

mercoledì 28 ottobre 2015

Pinkwashing: cos'e` e perche` non ci piace

E` finita. Quasi. Ancora tre giorni e ottobre sara` finito. Del cancro al seno continueranno a ricordarsi solo le persone colpite dalla malattia e i loro cari. Per noi il cancro al seno e` una presenza costante, non certo una scusa per vendere prodotti.

Questo ottobre e` stato diverso dagli altri, pero`. La lettera alla LILT scritta insieme a Sandra Castiello, Alberta Ferrari, Daniela Fregosi, Emma Schiavon e Carla Zagatti (qui) ha ottenuto il supporto di oltre 500 persone, nonostante il tentativo di depoliticizzare la nostra protesta da parte della stessa LILT e della maggioranza dei media che hanno cercato di farla passare come un attacco alla cantante testimonial della campagna.
Dove non c'e` stata strumentalizzazione, c'e` stato un non meno colpevole silenzio. Stiamo ancora aspettando una risposta dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Che non abbia saputo della nostra lettera e` impossibile. Ne hanno parlato davvero tutti. A distanza di 28 giorni dalla pubblicazione, non un rigo, sia pure di circostanza, e` venuto dal ministero.

Abbiamo imparato in questo mese che il gossip e` un'arma di distrazione di massa. Buttare tutto in caciara per occultare le motivazioni reali del dissenso all'ordine costituito, soprattutto se a dissentire sono donne. L'abbiamo scritto nella lettera e desideriamo ripeterlo ancora: il nostro problema, e non da quest'anno, e` il pinkwashing.

Il termine pinkwashing e` stato coniato da Breast Cancer Action  all’interno del progetto Think Before You Pink, lanciato nel 2002 (qui). Deriva dall’unione del sostantivo pink – rosa – e del verbo whitewash che significa letteralmente ‘imbiancare’ e in senso figurato ‘occultare’. Breast Cancer Action definisce ‘pinkwasher’ un’azienda o un’organizzazione che sostiene di avere a cuore il problema del cancro al seno e che cerca di dimostrarlo promuovendo prodotti contrassegnati con il nastro rosa ma che contengono sostanze correlate con un aumento del rischio di sviluppare la malattia. L’azienda di solito dimostra il suo sostegno alla “causa” in due modi: donando una percentuale minima del ricavato delle vendite dei prodotti contrassegnati con il nastro rosa alla “ricerca” riguardante la malattia - senza premurarsi di specificare quale - oppure anche soltanto sostenendo campagne di sensibilizzazione. Nel corso degli anni il fenomeno si e` esteso notevolmente. Gayle Sulik, sociologa medica e direttrice del Breast Cancer Consortium (qui) nonche` autrice di Pink Ribbon Blues. How Breast Cancer Culture Undermines Women's Health (qui), ha adottato una definizione piu` ampia includendo aziende e organizzazioni, anche no profit, che solo apparentemente sembrano svolgere un’azione benefica ma che in realta` non fanno che peggiorare le cose non solo vendendo prodotti contenenti sostanze tossiche ma anche, ad esempio, diffondendo informazioni fuorvianti o contribuendo a veicolare un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia. 

La LILT non e` certo la sola in Italia a fare pinkwashing. Come non ricordare Komen Italia e la sua campagna col detersivo Perlana (qui)? E che dire di Fondazione Veronesi e gli assorbenti Lines (qui)? Quest'anno, pero`, c'e` stata una new entry: AIRC, che quest'anno ha lanciato la sua bella campagna rosa, sponsorizzata da Estee Lauder (che fino all'anno scorso sponsorizzava LILT) e dagli assorbenti Nuvenia (qui). Non bastava certo la condanna dell'ex presidente per morti da amianto (qui). Anche AIRC aveva diritto a sporcarsi le mani col pinkwashing. 

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lunedì 12 ottobre 2015

13 ottobre. Un giorno solo per il cancro al seno metastatico

E` il 13 ottobre domani. La giornata del cancro al seno metastatico. Un giorno solo per l'unica forma di cancro al seno che uccide. Tutto il resto del mese e` dedicato alla pubblicita` sulla pelle delle donne degli sponsor delle varie campagne di 'sensibilizzazione'.

"Fare prevenzione" e` un'espressione entrara ormai nell'uso comune. Non esisteva nel 2010, quando mi sono ammalata. O forse sono io che non la ricordo perche` a 30 anni al cancro non ci si pensa e sarebbe un diritto non pensarci. Un diritto leso. Anche questo. Uno dei tanti, ormai.

Circa il 30% delle donne affette da cancro al seno sviluppa - anche oltre i canonici 5 anni - delle metastasi. Le sedi piu` comuni sono ossa, fegato, polmoni e cervello. Puo` capitare che la malattia esordisca come metastatica, come ricorda, in un bel post fresco fresco di pubblicazione, Alberta Ferrari (qui). Che ci si scopra ammalate al quarto stadio sin dall'inizio, insomma. Forse queste donne non hanno 'fatto prevenzione'? Forse una campagna di 'sensibilizzazione', con annessa pubblicita` di prodotti di consumo correlati con lo sviluppo della malattia, avrebbe potuto evitare loro il cancro al seno metastatico? La risposta e` no. Ci sono tumori biologicamente cosi` aggressivi che si diffondono alla velocita` della luce e senza che il nodulo nel seno sia particolarmente grande. Sono questi tumori che H. Gilbert Welch, medico, ricercatore e docente presso il Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice, paragona a degli uccelli (qui):

"Sono i cancri piu` aggressivi, quelli che si sono gia` diffusi quando diventano diagnosticabili."

Cosa passa per la mente di donne in questa situazione, quando sentono parlare di 'fare prevenzione'? Come si sentono? Cosa avrebbero voglia di dire se solo fosse data loro la possibilita` di far sentire la propria voce? Di qualsiasi cosa si tratti, dovrebbero dirlo molto in fretta. Il giorno dedicato a loro e alle altre donne metastatiche dal grande circo di ottobre rosa e` solo uno. Che non rovinino troppo la festa...

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lunedì 5 ottobre 2015

Anna, unisciti a noi

Ci siamo rivolte alla LILT e al Ministero, ma nell’occhio del ciclone è finita la testimonial della campagna nastro rosa 2015. È a lei, dunque, che vogliamo rivolgerci in questo caso, nell’attesa che i reali destinatari della nostra lettera si degnino di risponderci:

"Gentile Anna Tatangelo, ci dispiace che si sia sentita offesa dalla nostra lettera e vorremmo farle sapere che noi davvero apprezziamo la sua generosità nel prestarsi gratuitamente a una campagna di sensibilizzazione. Il suo è un esempio fra i molti di donne che si prestano in buona fede a operazioni che le strumentalizzano per i loro fini. Nel suo caso è evidente che è stata scelta, oltre che per la bellezza, perché è considerata un simbolo per molte giovani che vivono in quelle aree della Campania dove il dolore provocato da tante morti e sofferenze ha fatto emergere una diffusa consapevolezza dei fattori di rischio ambientale del cancro: l'avvelenamento delle terre, delle acque, dell'aria. Per chi vive nella "Terra dei Fuochi" non c'è "stile di vita sano" che tenga, e sottolinearlo in una campagna di sedicente sensibilizzazione è un modo per porre ancora una volta in secondo piano le vere cause dell’aumento dell’incidenza di diverse forme di cancro e di quello che si configura come un vero e proprio biocidio. Ci sembra, dunque, che lei sia stata strumentalizzata due volte, e noi le chiediamo di lasciare la campagna LILT e di unirsi a noi nella denuncia. Saremo felici di averla dalla nostra parte".
Cordialmente,
Sandra Castiello- docente di latino e greco al liceo classico, Pagina Facebook Col seno di poi ma col senno di sempre

Grazia De Michele - precaria, Blogger di Le Amazzoni Furiose

Alberta Ferrari- chirurga senologa, Blogger di Ferite Vincenti

Daniela Fregosi - consulente e formatrice freelance, Blogger di Afrodite K

Emma Schiavon- insegnante e storica

Carla Zagatti- psicologa e psicoterapeuta

giovedì 1 ottobre 2015

Lega Tumori e Lorenzin, ritirate quella campagna

Lettera aperta alla Lega Italiana per la Lotta ai Tumori (LILT) Nazionale e al Ministro della Sanita` Beatrice Lorenzin. Per adesioni, inviate una mail con il vostro nome, cognome e, se lo desiderate, professione a pinkwashing2015@gmail.com

1/10/2015

Spettabile Lega Italiana per Lotta ai Tumori (LILT) Nazionale,

Gentile Ministro della Salute Beatrice Lorenzin,

le sottoscritte desiderano esprimere profondo sconcerto di fronte alla campagna Nastro Rosa 2015, la cui testimonial è una nota cantante ritratta a torso nudo, con le braccia a coprirne in parte i seni. Una posa che rappresenta un salto di qualità, di segno negativo, rispetto alle edizioni precedenti della campagna. Negli anni passati, infatti, a rappresentarla erano state scelte donne, sempre appartenenti al mondo dello spettacolo o dello sport e non colpite dalla malattia, che, tuttavia, erano state ritratte vestite e in atteggiamenti più consoni al tema. Per l’anno in corso, invece, la campagna punta ad offrire un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia, utilizzando in maniera pretestuosa l’invito a “fare prevenzione”, espressione ambigua con la quale ci si riferisce comunemente all’adesione ai programmi di screening per la diagnosi precoce del cancro al seno attraverso mammografia. Anche a livello nazionale dunque la LILT ha scelto di avvalersi di un uso strumentale del corpo femminile, come è già accaduto negli anni scorsi per campagne di gusto per lo meno dubbio, quali quelle promosse ad esempio dalla sezione di Torino che, nell’ottobre del 2014, ha patrocinato l’iniziativa Posso toccarti le tette? .

Desideriamo ricordare che solo nel 2012 sono morte di cancro al seno 12.004 donne (dati Istat) e  nel 2014 si sono registrate 48.200 diagnosi tra la popolazione femminile del nostro paese (dati Aiom-Airtum). La patologia colpisce, inoltre, sebbene in misura minore rispetto alle donne, anche gli uomini. I programmi di screening si rivolgono alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni alle quali si raccomanda di effettuare una mammografia ogni 2 anni. La morte per cancro al seno sopravviene a seguito della diffusione dal seno ad altri distretti corporei (ossa, fegato, cervello e polmoni nella maggioranza dei casi).

Cosa ha a che fare l’immagine di una donna chiaramente al di sotto della fascia d’età per la quale sono designati i programmi di screening con la “prevenzione”? Perchè concentrare l’attenzione del pubblico sul suo décolleté florido (a cui fanno da contorno gli addominali scolpiti) se il rischio di morte si presenta solo nel caso in cui la patologia interessi altri organi?

Una risposta la offrono i marchi di noti prodotti di consumo in calce al manifesto che pubblicizza la campagna. Tra questi, quello della nota casa automobilistica Peugeot. Studi scientifici recenti  dimostrano l’elevata incidenza del cancro al seno tra le donne impiegate nella produzione di materie plastiche per il settore automobilistico. Evidenze che hanno portato, nel 2014, l’American Public Health Association a chiedere alle massime autorità sanitarie degli Stati Uniti di porre in essere politiche di prevenzione atte a ridurre drastricamente l’esposizione sui luoghi di lavoro a sostanze associate al cancro al seno.

La partnership tra LILT e Peugeot si configura chiaramente come un caso di pinkwashing, termine con cui si indica la pratica di pubblicizzare e/o vendere prodotti che aumentano il rischio di ammalarsi di cancro al seno, attraverso ingredienti e/o processi di lavorazione, collegandoli a campagne di sensibilizzazione o a raccolte fondi per la ricerca. Una strategia di marketing tristemente diffusa e che risulta estremamente efficace proprio perchè il cancro al seno offre la possibilità di esporre il seno femminile per finalità benefiche, attirando così l’attenzione del pubblico di ambo i sessi.

Chiediamo pertanto il ritiro della campagna Nastro Rosa 2015 che consideriamo lesiva della dignità e della salute delle donne.

Distinti saluti,

Sandra Castiello, docente di latino e greco, pagina Facebook Col seno di poi, ma col senno di sempre

Grazia De Michele, precaria, blogger de Le Amazzoni Furiose

Alberta Ferrari, chirurga senologa, blogger di Ferite Vincenti

Daniela Fregosi, consulente e formatrice free lance, blogger di Afrodite K

Emma Schiavon, insegnante e storica

Carla Zagatti, psicologa e psicoterapeuta

Per adesioni scrivete a pinkwashing2015@gmail.com; per visualizzare le adesioni cliccate qui

mercoledì 16 settembre 2015

Il cancro da giovani

Kathleen Brady ha 20 anni. Fa l'insegnante. Vive in Australia. E ha un linfoma. Pochi giorni fa, il Guardian ha pubblicato un suo articolo (qui) in cui molte delle persone che si sono ammalate di cancro in piena giovinezza si riconosceranno.
Il cancro e` sempre ingiusto, scrive Brady, ma vederselo diagnosticare a 20 anni supera ogni immaginazione. A quell'eta` "si suppone tu stia per cominciare la tua vita, trovando finalmente un lavoro che ti piace, imparando a raggranellare i risparmi e magari andando a vivere con il tuo partner. [...] Dovresti stare bene in salute: quanto basta per tenerti un buon lavoro, uscire ogni fine settimana, viaggiare a piacimento e in generale goderti la vita".
E, invece, Brady due mesi fa ha scoperto di avere il cancro. Non allo stadio terminale. Non incurabile, ma "quel genere [di cancro] che non ti fara` mai piu` sentire sereno e soddisfatto, che ti fa ripensare a tutto quello che pensavi di sapere". Si definisce in una fase di transizione tra l'adolescenza e l'eta` adulta. Non e` piu` abbastanza piccola da vivere a casa con la sua famiglia d'origine, godendo della sicurezza economica su cui evidentemente quest'ultima puo` contare, ma non ha ancora una famiglia sua ne` un lavoro stabile. Ha qualche soldo da parte e voglia di fare esperienze nuove. I suoi amici si stanno pian piano accasando e iniziano a sfornare bambini. Al contrario, lei si trova "costretta a fermare la sua vita all'improvviso".
Una situazione "pietrificante". Mille domande si aggirano nella sua mente: "in che modo sei mesi o piu` di malattia influenzeranno le possibilita` di trovare quel lavoro che voglio cosi` tanto? Vorro` ancora fare la stessa cosa quando tutto questo sara finito? Saro` sempre una paziente col cancro? Devo dire sempre alle persone cosa mi e` successo? Come faccio a vivere cosi`? Lo superero` mai?"

Sono passati quasi cinque anni dalla mia diagnosi di cancro al seno. Persino la terapia col tamoxifene, che all'inizio mi sembrava eterna, sta per finire. La mia vita pero` non e` tornata come prima. Il lavoro che sognavo non ce l'ho e non ce l'avro` mai. Nemmeno un lavoro qualsiasi sembra saltare fuori da qualche parte. Ho 35 anni e non ho mezzi di sostentamento. Vivo con i soldi di mio marito e della mia famiglia. Le mie amiche fanno figli. Ogni volta che conosco qualcuno mi chiedo se debba metterlo a conoscenza di quello che mi e` successo. Sono stanca e ingrassata. E no, non credo 'superero` mai' il rodimento di culo di vedere la mia vita deragliare, senza riuscire piu` a riportarla dentro i binari di quella che volevo fosse la mia normalita`.

mercoledì 12 agosto 2015

Mariangela

Ti ho vista. Due volte. La prima eri in spiaggia. La seconda vicino casa. Pedalavi col tuo bimbo nel sediolino attaccato al manubrio.
Sono passata sotto casa tua, ma non sono stata capace di riconoscerla. E ho parlato di Tania, il tuo pastore tedesco che amavi tanto.
Ti ricordi quella volta alle cabine telefoniche? Si, c'erano ancora le cabine...Mamma mi teneva per mano. Tu piangevi al telefono. "Che e` successo, Mariangela?". "Tania sta male". E le tue mani, abbronzate e flessuose, scorrevano sulle gote inzuppate di lacrime.
Non riesco a ricordare quando sei morta. Dev'essere stato un paio di anni prima che la nostra malattia colpisse anche me. Saputolo, mia sorella, la tua amica di lunghe estati di noia, ha gridato e pianto per ore. Io sono rimasta sbigottita. Avevi circa 40 anni. Nonostante del cancro al seno non sapessi nulla allora, la tua morte mi sembro` una follia crudele.
Oggi che so, ti vedo passare per quelle strade che abbiamo percorso insieme, ti cerco, vorrei poterti abbracciare, vorrei poterti dire "Che ci hanno fatto, Mariangela?", ma tu non ci sei e a me non resta che tanto dolore.

mercoledì 15 luglio 2015

L'ex presidente dell'AIRC condannato per morti da amianto

Ne avevamo parlato nel dicembre 2013 esprimendo allarme, caduto ovviamente nel vuoto (qui). Oggi, Piero Sierra, presidente,  fino al maggio 2014, quando e` stato sostituito da Pier Giuseppe Torrani, dell'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (AIRC) all'interno della quale riveste ancora la carica di consigliere [almeno fino a qualche minuto fa, alle 14.47 il sito dell'AIRC non e` accessibile], e` stato condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere per la morte negli anni '70 e '80 di 50 operai della Pirelli, di cui e` stato uno dei massimi dirigenti (qui). Condannato, sempre a 6 anni e 8 mesi, anche Guido Veronesi, fratello di Umberto e zio di Paolino 'tutto torna come prima'.

Come sono morti questi operai? Di mesotelioma pleurico e altre patologie tumorali. E perche`? Perche` sono stati ripetutamente e massicciamente esposti all'amianto, senza che l'azienda prendesse le dovute misure precauzionali per proteggerne la salute.

Approfittiamone per dare un'occhiata al sito dell'AIRC. In particolare, la sezione 'Fai Prevenzione' (qui). Stili di vita, alimentazione, fumo di sigaretta, raggi ultravioletti. E l'esposizione a sostanze cancerogene e mutagene come l'amianto? Non ce n'e` traccia. Eppure quegli operai, e non solo loro purtroppo, sono morti proprio per questo. Erano forse inevitabili, non prevenibili, quelle morti? Evidentemente no, se il Tribunale di Milano ha condannato Sierra e soci.

L'AIRC chiede i nostri soldi per fare ricerca. I miei genitori hanno sempre comprato le azalee della ricerca e mio padre continua a farlo ancora adesso, commosso perche` adesso e` sua figlia ad avere il cancro. E lo stesso fanno altri genitori, amici, partner, fratelli e sorelle di chi si trova nella stessa situazione. E forse lo facevano anche quegli operai e i loro familiari. In buona fede e con generosita`.

Che fare? Donare i nostri soldi a queste organizzazioni senza chiedere spiegazioni su come vengono investiti e coinvolgimento e trasparenza nei processi decisionali e` inutile e dannoso. Perche` un'istituzione legata a doppio filo con le fabbriche di morte difficilmente finanziera` ricerche sulle cause ambientali e occupazionali del cancro e sulla prevenzione primaria. E ci dira`, attraverso il suo sito web, che prevenire il cancro significa mangiare bene, fare esercizio fisico e non fumare, tacendo su come la morte la si possa trovare nascosta nei capannoni industriali dove si suda per guadagnarsi il pane.




mercoledì 8 luglio 2015

5 anni di Decapeptyl per Paolo Veronesi

Triptorelina. Non e` una caramella. E` il principio attivo del Decapeptyl, la cosiddetta puntura che molte cancrate al seno, me inclusa, si sparano in chiappa ogni 28 giorni.
"Serve a bloccare le ovaie e abbassare il livello degli estrogeni", ci viene spiegato. E per chi ha un carcinoma estrogeno-dipendente e` un bel vantaggio.
Quello di cui non si fa menzione alcuna e` che la triptorelina riduce anche il livello di testosterone, al punto che la si utilizza anche nella castrazione chimica di persone che commettono reati a sfondo sessuale [qui]. Il testosterone, associato nell'immaginario comune con la sessualita` maschile, e` molto importante anche per il desiderio e l'orgasmo delle donne [qui].
"Una qualita` di vita assolutamente uguale a quella di prima della malattia", promette Paolo Veronesi, direttore della Fondazione Veronesi, ai microfoni di un popolare programma televisivo di [dis]informazione medica [qui]
Paolino caro, prova anche tu. Porgi la chiappetta soda ogni 28 giorni e fattici iniettare una fiala di Decapeptyl. Cosi` per cinque anni. E anche oltre. Sentirai il tuo desiderio crollare, gli orgasmi rarefarsi fino a scomparire. Un giorno ti imbatterai in un articolo sugli utilizzi della triptorelina per castrare chimicamente chi non riesce a tenere a bada le proprie pulsioni sessuali e ti sentirai una merda, proprio come mi sono sentita io. E ti verra` voglia di sbattere la testa nel muro e gridare perche`. Perche` la malattia? Perche` quest'inganno su delle cure che cure non sono? Di cancro si muore o si vive malissimo. E vale anche per le donne che - forse tu non lo sai - ma a una vita sessuale appagante hanno diritto. 

venerdì 3 luglio 2015

Il giardino sicuro




Un giardino senza pesticidi. Per chi cerca un luogo tranquillo per leggere un libro o sbocconcellare durante la pausa pranzo. Per chi, di sera, non ha un letto comodo in cui riposare ma solo un sacco a pelo o qualche cartone con vista sulle stelle. Per gli scoiattoli e le volpi che vi si rincorrono. Per i bambini dell'asilo vicino che vanno a giocarci.
Lo abbiamo inaugurato la scorsa settimana a Brighton (qui). Noi di Brighton Breast Cancer Action (BBCA qui) e Pesticide Action Network UK (PAN UK qui). Ed e` solo l'inizio. Una campagna per fare della cittadina del Sussex la prima citta` del Regno Unito libera dai pesticidi e dalla loro scia mortifera e` stata lanciata e sta raccogliendo un numero crescente di adesioni (qui).
Nick Mole di PAN UK ha espresso l'auspicio, durante la cerimonia di inaugurazione del primo giardino sicuro di Brighton che cartelli come quelli che vedete nella foto in alto possano fiorire rigolgiosi in tutta la citta`, nei giardini pubblici e privati, e poi nel resto del paese.
Rick Childs direttore del Brighthelm Centre, dove si trova il giardino, ha ricordato l'esistenza di un vasto movimento in Europa in contrasto all'uso dei pesticidi nelle citta` che si sta finalmente estendendo anche al Regno Unito.
Come rappresentante di BBCA, ho segnalato la pubblicazione dello studio su cancro al seno e DDT di cui vi avevo informato nel post precedente (qui). E forse leggendolo, qualcuno ha pensato: "Ma come si fa? Siamo pieni fino al collo". E invece no, tanti piccoli passi, se fatti da tante persone, persone comuni, come me, come voi, possono cambiare il mondo e trasformarlo in un giardino sicuro per tutti gli esseri viventi.  

martedì 23 giugno 2015

Il veleno - L'esposizione in utero al DDT e il cancro al seno



Estate. Tornare nello stesso posto dove ho trascorso le estati felici della mia infanzia. Ripensare a quella bambina che scorazzava vivace per strada, magrissima, le gambe di gazzella, piu` veloce del vento.
E` sera. Dopo cena si riscende a giocare. Risate, urla, qualche bisticcio. Hai contato troppo veloce. La campana e` davanti casa mia e mi ci fai giocare. Il camioncino grigio fa appena in tempo a svoltare. Dal tetto spruzza fortissimo un liquido bianco. Il veleno, gridiamo. Qualche colpo di tosse. Accovacciati vicino al cancello di una casa, diamo le spalle per farci scudo. Le zanzare, dicono i grandi. Serve per le zanzare.
Cosa ci venisse spruzzato addosso esattamente, a me e a tutti i bambini del villaggio che a quell'ora giocavano per strada, forse non lo sapro` mai. Di sicuro emanava un odore cattivo e non lo chiamavamo veleno per caso.
Sono usciti, la scorsa settimana, i risultati di una ricerca condotta negli Stati Uniti (qui). Tra il 1959 e il 1967, ad oltre 20.000 donne incinte e` stato prelevato il sangue conservandone i campioni. Gli scienziati hanno rintracciato anni dopo le figlie di quelle donne e hanno scoperto che livelli di DDT elevati nel sangue delle madri avevano esposto le figlie a un rischio quadruplicato di ammalarsi di cancro al seno da adulte.
Rachel Carson, scienziata fondatrice del movimento ambientalista, l'aveva scritto nel 1962 che il DDT e gli altri pesticidi erano pericolosi per gli esseri viventi. Il suo libro, Primavera Silenziosa, era uscito due anni prima che morisse di cancro al seno.
Sono passati decenni. Il DDT e` stato messo al bando in Italia (in altri paesi del cosiddetto 'sud del mondo', invece, si usa ancora), ma altri veleni l'hanno sostituito.
E` sera. Dopo cena si sta sul balcone di casa a chiacchierare. Il camioncino passa, ci spruzza la sua maledizione addosso. Per me e` troppo tardi. Per strada, un gruppo di bambini continua a giocare. Non sappiamo per quanto.

mercoledì 17 giugno 2015

Al tuo fianco. Prendersi cura di una persona con il cancro al seno - Richiesta di contributi

Nel corso di decenni, una visione edulcorata e banalizzante del cancro al seno ha dominato il discorso pubblico. Descritta quasi come un rito di passaggio, la diagnosi di cancro al seno è stata fatta diventare per le persone colpite un invito a sorridere, a mettersi al di sopra della malattia. Questa pretesa superficiale, ancora diffusa in molti contesti, ha promosso un messaggio ottimista su come affrontare il cancro al seno e messo a tacere le voci dissonanti di chi, e si tratta soprattutto di donne, vive la malattia e le sue conseguenze ogni giorno sulla propria pelle. Il numero speciale del 2014 del quadrimestrale del Breast Cancer Consortium "Demistifichiamo il Cancro al Seno" (qui) ha dato spazio ad alcune di queste voci ribelli provenienti da Stati Uniti, Belgio, Israele, Italia, Spagna e Regno Unito.

Il numero speciale del 2015 del quadrimestrale del Breast Cancer Consortium (qui) intende dare spazio alle voci delle persone che si prendono cura, amano e vivono con chi riceve la diagnosi di cancro al seno. Su partner, figli, fratelli, sorelle, genitori, amici e colleghi grava un grosso peso quando una persona ha il cancro. Le difficoltà, il dolore, la sofferenza che fanno parte del prendersi cura sono, con rare eccezioni, assenti dalla narrazione della malattia. Curato dalle partner del Breast Cancer Consortium, Grazia De Michele e Cinzia Greco,  ‘Al tuo fianco: prendersi cura di una persona con il cancro al seno’ parlerà di chi ha visto la propria vita cambiare quando una persona cara si è ammalata di cancro al seno.


Se vuoi condividere la tua storia, invia un breve riassunto (massimo 250 parole) a byyoursidebcc@gmail.com entro il 31 luglio 2015. Si accettano anche fotostorie e video. 

martedì 2 giugno 2015

La fortuna di stare male

Sto male. Ho fatto la siringa di Decapeptyl ieri sera e oggi sono sotto un treno. Non riesco ad articolare un pensiero e mi sento come se avessi scalato una montagna. Eppure ho percorso solo il tragitto letto-divano-letto. E` da un po` che la siringa mensile mi fa quest'effetto. Forse e` il mio corpo che non ne puo` piu`? Non lo so. Stasera, pero`, non me la sento di lamentarmi piu` di tanto. Domani c'e` il funerale di Jojo, che di siringhe non ha fatto in tempo a farne nemmeno una decina (qui). E` morta in meno di dodici mesi, a 32 anni. L'estate scorsa, quella passata a fare la chemioterapia subito dopo aver scoperto il cancro al seno, e` stata l'ultima che ha visto. E certo non lo immaginava. Lei, come i suoi familiari e amici che domani si riuniranno per salutarla. Tra loro ci saro` anch'io, ammaccata, col morale a terra, ma viva. E non e` poco, se non per me, almeno per quelli che mi vogliono bene.
Siamo a questo punto. Chi soffre gli effetti collaterali di oltre 4 anni di soppressione ovarica si sente fortunato rispetto a chi finisce sotto terra nel fiore della giovinezza. E non s' intravede nessuna speranza che questo cambi nel prossimo futuro. Le terapie avranno sempre effetti collaterali. Una certa percentuale di persone continuera` a morire. Dell'aumento dell'incidenza non sembra interessare quasi a nessuno. Ogni giorno, leggiamo e sentiamo di scoperte mirabolanti, guarigioni miracolose, corse, raccolte fondi e trionfi. Un chiacchiericcio che non porta a nulla, se non all'assuefazione allo stato delle cose. 

martedì 26 maggio 2015

Lines e Fondazione Veronesi. C'e` puzza di pinkwashing

Cosa c'e` di piu` "femminile" del seno? Nulla. Forse, a pari merito, si classificano solo le mestruazioni. Se del "femminile", pero`, il seno rappresenta il bello e il simbolo reso piu` visibile in assoluto, le mestruazioni non godono di tanta popolarita`. Associate con lo sporco e la temporanea perdita di purezza, le mestruazioni sono, nella cultura occidentale, tanto nascoste quanto il seno e` esibito. Nonostante cio`, una fiorente industria vi gira intorno. E` l'industria degli assorbenti, interni ed esterni.
La vita fertile di una donna dura grosso modo dai 12 ai 50 anni, con un ciclo mestruale della durata di circa 28 giorni. Immaginate quanti assorbenti vengono utilizzati in questo lasso di tempo. Se poi alle donne viene fatto credere che le mestruazioni sono sinonimo di sporco, cattivo odore e brutte figure e che solo assorbenti supersottili, superleggeri, con cui ci si puo`, per esempio, far paracadutare da un aereo sentendosi asciutte e pulite, possono risolvere un problema cosi` imbarazzante, allora il bottino diventa ghiottissimo. 
Ma si sa, l'ingordigia e` demone che si autoalimenta. E allora perche` non unire i due simboli del "femminile", quello visibile e quello nascosto, quello bello e quello sporco, sia pure sublimato dalla celestiale leggerezza che solo un assorbente puo` donare a noi donne "anche in quei giorni", e fare tombola?
C'ha pensato Lines, da decenni ormai marchio leader del mercato italiano degli assorbenti, stabilendo una partnership con la Fondazione Veronesi a sostegno della campagna Pink is Good (qui). Per ogni pacco di Lines è, Lines Seta Ultra e Lines Petalo Blu, verranno donati minuti di ricerca. Al termine dell’iniziativa, i minuti verranno convertiti in danaro, secondo parametri certificati dalla Fondazione Veronesi allo scopo di finanziare “fino otto borse di studio”. Sul sito dell’iniziativa e` presente una tabella piuttosto sibillina da cui non si riesce effettivamente a capire a quanto corrisponde in denaro un minuto di ricerca (qui).
Non si puo` fare a meno, inoltre, di porre alcune domande riguardanti la sicurezza dei prodotti Lines. Nel 2013, un rapporto di Women’s Voices for the Earth ha puntato il dito sulla presenza di sostanze tossiche negli assorbenti di uso comune (qui). Le pareti della vulva e della vagina sono estremamente permeabili, informa il rapporto, irrorate da vasi linfatici e sanguigni che le dota di una grande capacita` di assorbimento che altre parti del corpo non hanno. Occorre dunque prestare la massima attenzione a qualsiasi cosa venga posta a contatto con questa delicatissima parte del corpo. Molti assorbenti, purtroppo, secondo il rapporto, contengono fragranze e, essendo stati sottoposti a procedimenti di sbiancamento con la candeggina, espongono al rischio di venire in contatto con diossine e furani. 
In molti casi, gli ingredienti non sono nemmeno segnalati sulla confezione. Siamo andate al supermercato e abbiamo dato un’occhiata ai prodotti Lines. Con l’esclusione della linea Petalo Blu, non abbiamo trovato traccia di ingredienti su nessuno dei prodotti della gamma. Non si sa, dunque, cosa sia contenuto nei Lines è e di cosa sia fatto il Lactifless un “materiale innovatio, ipoallergenico e mai usato prima” che renderebbe i Lines è particolarmente flessibili e plasmabili (qui). Lo stesso vale per i Lines Seta e la loro Molecola N3 che “neutralizza l’odore” (qui). Sarebbe d’uopo fornire queste informazioni, sopratutto se ci si vuole avventurare in raccolte fondi legate a malattie come il cancro al seno.
Inoltre, sempre Women’s Voices for Earth nell'agosto 2014 ha commissionato delle analisi di laboratorio sugli assorbenti Always da cui e` risultato che questi ultimi, sia nella formulazione con fragranza che in quella senza, emettono sostanze tossiche comprese alcune classificate come cancerogene dal U.S. Department of Health and Human Services National Toxicology Program, dall’ Agency for Toxic Substances and Disease Registry e dalla State of California Environmental Protection Agency (qui). Che c’entrano gli Always che in Italia non sono in vendita? Speriamo nulla, sebbene l’azienda che li produce, la Procter and Gamble, sia la stessa che produce, insieme ad Angelini gli assorbenti Lines (qui). Lo stesso gruppo commercializza in Italia anche i Tampax, gli assorbenti interni. Carolyn Maloney, deputata democratica del Congresso degli Stati Uniti ha presentato recentemente una proposta di legge intitolata alla memoria di Robin Danielson, una donna di 44 anni morta nel 1998 a causa della sindrome da shock tossico che si puo` verificare quando si usano assorbenti interni, che, se approvata, demanderebbe al National Institute of Health il compito di condurre ricerche accurate sugli effetti sulla salute dei prodotti per l’igiene intima femminile e indurrebbe la Food and Drug Administration a pubblicare la lista di sostanze tossiche in essi contenute. “Oni singolo giorno milioni di donne americane hanno le mestruazioni, e più della metà di loro fa uso di assorbenti interni” – ha scritto Maloney – “Quello che molte di queste donne non sanno è che non esiste una ricerca che dichiari inequivocabilmente che questi prodotti per l’igiene femminile siano sicuri. Studi indipendenti realizzati da organizzazioni per la salute delle donne hanno individuato sostanze chimiche preoccupanti nei tamponi e negli assorbenti come la diossina, i cancerogeni e le tossine riproduttive. L’industria multimiliardaria dell’igiene femminile sostiene che la quantità di tossine presenti in un singolo assorbente interno è ‘molto bassa’. Ma la donna che fa un uso di tamponi ne usa in media almeno 16.800 durante tutta la sua vita, e non esiste quasi nessun dato sugli effetti che l’uso cumulativo degli assorbenti interni possa avere sulla salute nel corso della vita di una donna”. (qui)
Le domande e i dubbi, insomma, sono tanti e ci aspettiamo delle risposte chiare e univoche che spazzino via questa forte puzza di pinkwashing.


lunedì 18 maggio 2015

Le Amazzoni Furiose regalano Pink Ribbon Blues a Laura Boldrini




Non potevamo credere ai nostri occhi quando, domenica, abbiamo visto comparire sulla pagina Facebook di Laura Boldrini le foto che ne attestavano la partecipazione alla Race for the Cure organizzata a Roma, come ogni anno, da Komen Italia. Ma come? La Boldrini che si e` sempre espressa contro un certo tipo di rappresentazioni delle donne nelle pubblicita` e nel discorso pubblico, che partecipa al mega-evento dei venditori di Mocio Vileda rosa e alla celebrazione mistificante e pacchiana delle "sopravvissute" al cancro al seno, mentre l'incidenza aumenta e il 30% delle donne che ricevono la diagnosi continua a morire?
No, ci siamo dette, non puo` essere. L'hanno fregata. Le devono aver dato delle informazioni sbagliate. Bisogna rimediare. E allora, nonostante non c'abbiamo un euro, perche` disoccupate, precarie e pure malaticce, abbiamo deciso di regalarle una copia, rigorosamente di seconda mano, di Pink Ribbon Blues. How Breast Cancer Culture Undermines Women's Health, best seller della sociologa statunitense Gayle Sulik pubblicato da Oxford University Press (qui e qui). Roba seria insomma e ovviamente non tradotta in italiano. Mai sia che si mettano in moto i cervelli.


Nel volume Sulik offre una disamina dettagliata della "cultura del nastro rosa", di cui Komen e` tra gli alfieri principali e che da anni ormai rappresenta una minaccia - si legge sin dal sottotitolo - per la salute delle donne. Salute sia fisica che psicologica. Quest'ultima infatti e` messa a repentaglio dalla costante oggettificazione del corpo femminile a scopo di marketing da parte delle aziende sponsor di eventi come la Race, che non si occupano certo di cancro al seno per scopi filantropici ma perche` la malattia offre loro la scusa di pubblicizzare i loro prodotti piazzandoci di fianco un bel paio di tette floride. Immagini, cara Boldrini, come possano sentirsi le donne che il seno non ce l'hanno piu` o ne hanno meta` e i cui corpi sono stati trasformati da chemio e ormonoterapia a vedere la malattia che le ha colpite utilizzata strumentalmente per vendere merci. E se non sono le tette a venir mostrate, allora si cerca di attirare le donne attraverso i richiami al ruolo assegnato loro di angeli del focolare, impegnate esclusivamente a tenerlo pulito, come nel caso della pubblicita` del Mocio. A proposito, lo sa che molte donne che hanno subito la dissezione ascellare si ritrovano con il linfedema proprio perche` fanno lavori domestici pesanti, come lavare a terra, in casa propria o d'altri?
Inoltre, e torniamo al libro di Gayle Sulik, la cultura del nastro rosa e` uno strumento potentissimo per veicolare informazioni relative ai successi della diagnosi precoce e dei programmi di screening mammografico ormai smentite dalla letteratura scientifica piu` aggiornata. Il risultato e` un eccesso di medicalizzazione, che non ha nessun effetto in termini di diminuzione della mortalita` per cancro al seno, e la colpevolizzazione di chi riceve la diagnosi di malattia metastatica, estesa cioe` ad altri distretti corporei, e viene indotta a credere che la responsabilita` sia sua. Per non parlare poi dell'aumento costante dell'incidenza e dell'abbassamento della fascia d'eta` a rischio rispetto a cui le mammografie nulla possono.
Ci auguriamo che ricevuto il libro, cara Boldrini, lo legga con attenzione e faccia magari ammenda, aiutando chi, come noi, non ha nessun interesse di tipo commerciale ma ha semplicemente a cuore la salute delle donne e la loro indipendenza.

sabato 16 maggio 2015

Jojo Gingerhead





La prima volta che mi hai scritto, chiedendo maggiori informazioni sulla proiezione di Pink Ribbons Inc che stavo organizzando, mi hai detto di avere 31 anni e di esserti ammalata da qualche mese di cancro al seno. Ho subito pensato che la malattia ci aveva colpito alla stessa eta` e che, vivendo nella stessa citta`, avrei voluto incontrarti di persona e diventare tua amica.
Sei venuta a vedere il film a pochi giorni dall'intervento per l'asportazione del cancro. Indossavi una parrucca rossa. E non perche` va di moda, ma perche` rossa di capelli lo eri davvero. Per questo avevi chiamato il tuo blog The Malignant Ginger (qui)e avevi scelto come nome d'arte Jojo Gingerhead (qui). Abbiamo scambiato poche parole dopo la proiezione. Ero preoccupata che il racconto delle donne metastatiche presenti nel film potesse turbarti, ma mi hai assicurato di no. Ti ho vista poi sgattaiolare dalla sala con una sigaretta in mano e avrei voluto chiedertene una, ma stavo parlando e non potevo fermarmi.
Dovevi fare anche tu l'Herceptin e la terapia ormonale e la radio. E pensavo che sarebbe filato tutto liscio, come nel mio caso. E invece, no. A gennaio ho saputo della tua recidiva locale con metastasi al fegato. Un tumore tutto nuovo. Triplo negativo questa volta (qui). Era gia` li` quando hai scoperto il primo e non se n'erano accorti? Non lo so e non importava molto. La priorita` era allungarti la vita quanto piu` possibile. C'hanno provato, ma non e` servito a nulla. Il cancro si e` impossessato del tuo fegato fino a distruggerlo, resistendo a qualunque terapia.
E cosi` te ne sei andata, cara Jojo, un mese dopo aver compiuto 32 anni (qui). E io non so che pensare e cosa fare, se non fissare il vuoto impietrita e pensare a quella sigaretta che avrei voluto fumare con te, facendo quattro chiacchiere come due ragazze normali, all'uscita del cinema.

sabato 2 maggio 2015

La violenza che subiamo noi schiavi sospesi tra la vita e la morte

Adesso basta. E` da ieri che una folla di benpensanti sta inondando il web con commenti denigratori nei confronti del movimento #NoExpo per la presunta devastazione dell'operosa citta` di Milano. Ovviamente nessuno di loro ha mosso il culo da casa, anche quelli che a Milano ci vivono, per andare a farsi un'idea di persona. Cosa sono, d'altra parte, le manifestazioni se non raduni di facinorosi?
Violenza, dicono. Parlano di violenza. E si scandalizzano per le vetrine delle banche rotte e per le automobili incendiate. Ma c'e` violenza e violenza. Certo non si indignano per quella che ogni sacrosanto giorno affligge un'intera generazione. E` la violenza del precariato, del capitalismo neoliberista, che ha ridotto centinaia di migliaia di giovani, in tutta Europa, a lavorare gratis, come schiavi. E` la violenza di chi, parte dello stesso sistema, ha avvelenato le nostre terre e ci ha fatto ammalare e privato della salute.
Ho 35 anni, mi sono ammalata di cancro a 30 dopo aver vissuto in alcune delle aree piu` inquinate d'Italia, la Puglia e la Campania, non ho un lavoro retribuito. Sono una schiava sospesa tra la vita e la morte. Perche` nessuno si indigna per quello che e` stato fatto a me e a chi si trova nella stessa situazione? Perche` voltate la faccia dall'altra parte? Di questa violenza cieca e assassina siete complici, maledetti.

domenica 26 aprile 2015

Hai provato la pipi` di unicorno?

Si, lo ammetto, quando ho scoperto di avere il cancro, tra lacrime e attacchi di panico, ho smesso di mangiare carne, uova, latte e derivati. Non sono mai stata una mangiona, anzi. Da bambina ed adolescente ero inappetente. Sapevo che l'alimentazione non aveva nulla a che vedere con la mia malattia, ma modificarla mi infondeva sicurezza dandomi l'illusione di poter fare qualcosa di mia iniziativa, oltre a seguire l'iter terapeutico propostomi dai medici. Il tofu, i centrifugati di frutta e verdura e il latte di origine vegetale sono diventati, e per molti aspetti lo sono tutt'ora, la mia coperta di Linus. So bene, tuttavia, che aiutano piu` lo spirito che il corpo.
E` facile quando si e` in una situazione di debolezza come quella di chi si ritrova con una diagnosi di cancro cadere vittime di chimere e ciarlatani. I consigli, quasi sempre non richiesti, arrivano da ogni dove. Mangia verdure - magari quelle avvelenate della Terra dei Fuochi - spalmati l'olio di cannabis, hai provato la pipi` di unicorno (e qui sto citando la carissima Lisa Adams)? Tra libri, siti e prodotti vari esiste un vastissimo mercato delle ciarlatanate cancro-correlate. Ci si fanno begli affari. Lo sapeva bene Belle Gibson, la blogger australiana che sosteneva di aver "curato" un cancro al cervello con l'alimentazione e aveva creato anche un app che, manco a dirlo, le era fruttata un sacco di quattrini. Sembra adesso, e a rivelarlo e` stata lei stessa, che Gibson fosse sana come un pesce. Niente cancro. Solo una marea di bugie, per le quali si augura di essere perdonata, dice. (qui).
Che sia stato amore per il danaro e il successo o mitomania o chissa` cosa a spingerla a mettere su un circo del genere, in fondo, poco importa. Molto piu` importante e` chiedersi come abbia potuto riscuotere tanto successo. Secondo Xeni Jardin, giornalista statunitense che alcuni anni fa ha avuto un cancro al seno e conosce quindi bene cio` che si muove intorno alla malattia, nulla di tutto cio` sarebbe stato possibile senza il mito del "cancer hero", l'eroe o eroina che riesce con le proprie forze e solo con quelle a sconfiggere il cancro (qui). E ovviamente, se non ci riesce, la colpa e` sua e solo sua. Sono molte di piu` le ciarlatanate che si possono leggere o sentire dovunque - aggiunge Jardin - che non le informazioni di consistenza scientifica su cosa e` il cancro, come funziona e se e come lo si puo` trattare. In questo vuoto informativo, che fa comodo anche ai professionisti della salute, sia chiaro, prosperano le Belle Gibson. Il cancro, intanto, continua a colpire e fare vittime.

lunedì 13 aprile 2015

Siamo tutte metastatiche



Sappiamo tutti cos'e` un sit-in. E` una manifestazione pacifica in cui della gente si siede a terra in segno di protesta. Il die-in e` meno conosciuto, almeno dalle nostre parti. Si tratta di una manifestazione pacifica in cui i partecipanti si sdraiano a terra come se fossero morti.
Un die-in e` stato quasi improvvisato qualche giorno fa a Philadelphia durante la conferenza annuale dell'organizzazione statunitense Living Beyond Breast Cancer (qui). 108 donne si sono sdraiate a terra, dandosi la mano mentre una di loro ha leggeva questo testo:

"Carissime, siamo qui riunite per dire addio ai 108 Americani che moriranno di cancro al seno metastatico OGGI, e OGNI giorno, perche` non c'e` cura per la nostra malattia. Sono nostre amic*, madri, figlie, sorelle, e meritano di piu`. Meritano una cura e che la loro memoria sia onorata CHIEDENDOLA, non un giorno, ma ORA. E ora osserviamo un minuto di silenzio per i 108 tra uomini e donne che non sono piu` con noi" (qui)

Molte di quelle donne, tornate a casa, hanno riempito il web dei loro racconti di quel momento cosi` emozionante e significativo. Chi, come me e come molt* tra chi legge questo blog, e` attualmente in fase di remissione della malattia non puo` voltarsi dall'altra parte. Oggi siamo NED, domani non si sa. Uniamoci a queste donne che chiedono adesso, con urgenza, senza ulteriori indugi piu` ricerca sul cancro al seno metastatico. Perche` ogni giorno questo stadio della malattia uccide. E ogni giorno che passa e` una vita persa e un abisso di dolore. 

mercoledì 8 aprile 2015

Odio il cancro

Odio il cancro. Odio dover fare questa siringaccia ogni 28 giorni che mi fa stare malissimo, svuotata, col cervello frullato. Odio sapere che la sola alternativa e` farsi levare le ovaie. Odio pensare che ci sono persone che sanno di doverne morire. Odio vedere morire persone a me care e non. Odio chi leggera` queste parole e mi dira` di non arrabbiarmi che` mi fa male. Odio chi dice che dopo tutto torna come prima. Odio questa vita rovinata e chi tale l'ha resa. 

mercoledì 25 marzo 2015

Perche` le ovaie le togliero` anch'io

Non che voglia in alcun modo paragonarmi a lei, cosi` bella e ricca, pero` forse io e Angelina Jolie qualcosa in comune ce l'avremo presto. In un futuro non troppo lontano, anch'io togliero` le ovaie. Non sono portatrice di una mutazione BRCA come la Jolie, ma mi sono ammalata di cancro al seno a soli 30 anni e il mio e` un carcinoma fortemente ormonoreponsivo. Significa, in parole povere, che la stragrande maggioranza delle mie cellule cancerose utilizzano estrogeni e progesterone per riprodursi. E` per questo che, oltre ad avermi prescritto il tamoxifene per 5 anni, gli oncologi del centro presso cui sono in cura, mi hanno bloccato le ovaie impedendo a queste ultime di produrre estrogeni. Fino al prossimo anno, la soppressione ovarica avverra` mediante l'iniezione di Decapeptyl ogni 28 giorni. Considerando, pero`, che e` mia intenzione proseguire oltre i 5 anni, dal momento che, come rilevato recentemente dall'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) nel rapporto I tumori in Italia. Prevalenza e guarigione da tumore in Italia, nel caso del cancro al seno occorre aspettare 20 anni prima di raggiungere un'attesa di vita simile a quella della popolazione generale (qui), sto seriamente considerando l'ovariectomia.
E` una decisione non facile e sono molto contenta che la mia oncologa mi abbia rassicurata sul fatto che andremo avanti con la soppressione chimica finche` non mi sentiro` pronta per l'intervento chirurgico. Ha inoltre precisato che una misura di questo tipo non mi garantisce che la malattia non si ripresentera`. "Qui certezze non ce ne sono", mi ha detto. Allo stesso tempo, pero`, ho intenzione di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per ridurre le probabilita` di recidiva. Lo faccio per me, perche` voglio vivere e a lungo, ma anche per mio marito e per i miei genitori. 

domenica 15 marzo 2015

La verita`: di cancro al seno si puo` morire

Sono passati poco piu` di sette giorni dalla morte per cancro al seno metastatico di Lisa Bonchek Adams (qui). Col cuore ancora spezzato - e temo lo sara` per molto tempo - ci tengo a fare una precisazione.
Come sapete, questo blog e` legato a una pagina Facebook dove, oltre ai post, vengono condivise notizie, riflessioni e immagini riguardanti non solo il cancro al seno ma anche la salute piu` in generale, l'ambiente e, talvolta, il femminismo (qui). Il post sulla morte di Lisa, come era gia` accaduto in passato per temi simili, ha ricevuto dei commenti piuttosto fuori luogo. Scrivere "questo post mi fa paura" a commento della notizia della morte di una giovane donna di 46 anni non denota particolare empatia ne` senso di solidarieta`. A prescindere da cio`, tuttavia, mi preme sottolineare come a nessuna di noi Amazzoni Furiose faccia piacere riportare la notizia della morte di una sorella di malattia e ribadire, in Italia peraltro nel vuoto piu` totale, che di cancro al seno si puo` morire. Il cancro al seno (e anche altre forme di cancro) ce l'abbiamo anche noi e ci piacerebbe davvero poter dire che si tratta di una malattia "guaribile". Cosi` facendo, pero`, diremmo una bugia. Il massimo a cui puo` infatti aspirare chi ne e` affetto e` lo stato di No Evidence of Disease (NED) e, se non volete credere a noi, andate a controllare sulle lettere che i vostri medici rilasciano ogni volta che andate a fare un controllo. Stato della malattia: NED. E` questo che leggerete. Inoltre, in circa il 30% dei casi il cancro al seno si ripresenta in forma metastatica, con diffusione, cioe`, ad altri organi ed e` in questi casi che porta alla morte. In quanto tempo? Non e` possibile saperlo. Ci sono donne che ci convivono anche per dieci anni, altre che muoiono in pochi mesi, altre ancora, come la carissima Lisa, che riescono a guadagnare tre anni sottoponendosi a terapie sfiancanti.
La verita` dunque non piace nemmeno a noi, ma e` cosi` che stanno le cose. E se davvero vogliamo cominciare a cambiarle, non soltanto sperando di essere fortunate e riuscire a sfangarla in qualche modo, ma affrontando la questione a livello collettivo per chi c'e` e per chi verra`, occorre ripartire proprio da quella constatazione, spaventosa quanto ineludibile: di cancro al seno si puo` morire.

sabato 7 marzo 2015

Lisa Bonchek Adams




E` stato in una notte insonne di due anni fa che ho incontrato Lisa Bonchek Adams. L'ho incontrata su Twitter, attraverso il quale - insieme al suo blog (qui) - raccontava la sua esperienza con il cancro al seno metastatico.
Lisa aveva scoperto il cancro al seno nel 2006, subito dopo la nascita del suo terzo figlio. Un caso non diverso da molti altri e una prognosi favorevole. Secondo stadio, tumore ormonoresponsivo. Lisa aveva rimosso persino le ovaie, per abbassare ulteriormente le probabilita` di ripresa della malattia. Nel 2012, a sei anni di distanza, la mazzata. Da stadio 2 era diventata stadio 4. Il suo tumore era incurabile. Tutto cio` in cui poteva sperare era che la malattia le lasciasse quanto piu` tempo possibile da vivere. Tempo da trascorrere coi suoi figli - la grande di 16 e il piu piccolo di 9 anni - e con suo marito, tra i fiori che amava coltivare e fotografare. Lisa raccontava della sua vita tra le chemio per tenere a bada il cancro e i suoi piccoli da accompagnare a scuola. Ed e` stato leggendo i suoi tweet che ho imparato a pronunciare la parola metastasi e ad accettare che potrebbe succedere anche a me. E` stato grazie a Lisa che sono riuscita a guardare in faccia la paura piu` grande per chi vive col cancro e ho smesso di negare che si puo` passare dal secondo al quarto stadio, anche avendo fatto tutte le terapie e tutti i controlli. E che se ne puo` parlare. E che ci si puo` persino ritagliare qualche sprazzo di felicita`.
Lisa cominciava ogni giorno i suoi tweet con una sorta di mantra:

"Cerca un po` di bellezza nel mondo oggi. Condividila. Se non riesci a trovarla, creala. Certi giorni e` difficile. Persevera"

Con la stessa grazia, Lisa denunciava il silenzio sul cancro al seno metastatico e le menzogne date in pasto alle donne dagli alfieri del nastro rosa (qui)

"Vorrei avere l'energia della mia giovinezza,
Vorrei averne il corpo.
Vorrei averne il coraggio, la tenacia, lo scatto.

Vorrei poter parlare con quella ragazza,
gli occhi luminosi e piena di stupore.
Vorrei poterle dire cosa l'aspetta.

[...]

Il mio corpo e` diventato un personale esperimento scientifico.
A volte quando le cose vanno bene, chi mi guarda puo` non averne idea.
Ma vedi,
Sotto il bello c'e` il brutto,
la brutta realta` del cancro
e di quello che mi ha tolto.

Mentre alcune possono andare avanti,
voltare pagina,
dimenticare,
io non posso.
Il mio corpo non me lo permette.

Queste cose non le lega un nastro rosa.

Queste cose durano piu` di un mese.
Questo fa parte della consapevolezza.

Questo e` parte di quello che il cancro al seno puo` fare.
Questo e` parte di quello che ha fatto a me.

Questo e` parte di quello che puo` succedere.
Anche con la diagnosi preoce e le terapie.
Questo e` quello che puo` succedere anche anni dopo.
Questo e` il motivo per cui le persone non dovrebbero cantare prematuramente vittoria.

Questo e` il motivo per cui non si e` necessariamente al sicuro.
Questo e` quello che il cancro al seno puo` fare anche a te.

E` cosi` che cio` che alcune pensano di avere sconfitto o salutato per sempre puo` ancora uccidere.
E` cosi` che fara` a me."

Lisa e` morte questa notte, circondata dai suoi familiari



giovedì 26 febbraio 2015

#DontIgnoreStageIV





"Di cancro al seno si muore". L'ho scritta anch'io tante volte questa frase e, senza volerlo, ho prestato il fianco alla cattiva informazione. Di cancro al seno NON si muore. Il seno non e` infatti un organo vitale, tant'e` vero che, se necessario, lo si puo` asportare. Finche` il cancro e` confinato nel seno chi ne e` affetto non corre immediato pericolo di vita.  Quando la malattia si estende ad altri organi - per il cancro al seno, sono solitamente ossa, fegato, polmoni e cervello - la sopravvivenza media e` di 18-24 mesi. E` dunque il cancro al seno metastatico che uccide. Perche` allora soltanto una parte infinitesimale dei fondi raccolti attraverso le campagne che chi segue questo blog ben conosce vengono destinati alla ricerca sull'unica forma di cancro al seno che provoca la morte, mentre la stragrande maggioranza viene destinato alla diagnosi precoce? (qui) Se lo chiedono soprattutto le donne che col cancro al seno metastatico ci convivono. Alcune di loro negli Stati Uniti hanno organizzato una protesta sui social media per il prossimo 2 marzo (qui). Utilizzando gli hashtag #MetsMonday #BCKills e #DontIgnoreStageIV, le attiviste mirano a rendere finalmente visibile il cancro al seno metastatico la cui realta` e` soffocata dalle mistificazioni a reti unificate del circo rosa. Non facciamo mancare loro il nostro sostegno. 

lunedì 23 febbraio 2015

Se un cancro solo non basta: la storia di Jojo


   
Fonte: The Malignant Ginger (qui)


Voglio parlarvi di Jojo, una giovane donna di Brighton. Jojo ha scoperto il cancro al seno a 31 anni. Prima era un'artista e musicista (qui). A maggio del 2014, la sua vita e` andata in frantumi con la scoperta della malattia. Sono seguiti diversi cicli di chemio, l'intervento, gli anticorpi monoclonali e la radioterapia. Sembrava tutto stesse procedendo per il meglio. Ai primi di gennaio, la mazzata. Una di quelle da cui e` difficile riprendersi. Jojo sente una pallina nel seno operato. Corre in ospedale. La giostra di biopsie ed esami ricomincia. Il responso ha dell'assurdo: c'e` un nuovo tumore, questa volta triplo negativo, nel seno e delle metastasi al fegato. Quando leggo la notizia non ci credo. Avevo conosciuto Jojo a novembre, subito dopo l'intervento chirurgico. Si stava riprendendo. Le mancavano ancora capelli e ciglia, ma era piena di energie e voglia di riprendere in mano la sua vita. E invece no. Invece il cancro non le ha lasciato nemmeno il tempo di tirare il fiato.
Seguiranno altre chemio e altra sofferenza, oltre alla consapevolezza che il suo cancro ormai e` incurabile. Non si puo` che starle vicino, tenerle la mano, ricoprirla di affetto. Ti voglio bene, Jojo.

lunedì 16 febbraio 2015

Di cancro si muore, col cancro non si vive

Aveva soltanto 33 anni Erika Gallinari, presidentessa della sezione di Reggio Emilia dell'Associazione Nazionale Donne Operate al Seno (ANDOS) (qui). Ieri e` morta, uccisa dal cancro al seno che l'aveva colpita nel 2013. Faceva la maestra d'asilo e aveva una figlia di appena due anni e mezzo. Di cancro si muore, anche di cancro al seno, anche se venditori di fumo piu` o meno illustri continuano a dire che cosi` non e`. Il cancro al seno rappresenta infatti la prima causa di morte di natura oncologica tra le donne italiane (qui). E` un dato che fa rabbia, molta, se si considera che e` possibile porre in essere delle misure atte a prevenire la malattia prima che incominci riducendo drasticamente le possibilita` di esposizione involontaria a sostanze cancerogene e mutagene (qui), ma nessuno sembra interessato a farlo.
Simona, invece, di anni ne ha 40 e lavora in un centro commerciale a Roma. Anche lei ha il cancro e ha dovuto trascorrere 8 settimane in ospedale. Al ritorno a casa, si e` vista recapitare una lettera di licenziamento da parte del datore di lavoro, "prima catena di elettronica di consumo in Europa" come si legge nel comunicato dell'Unione Sindacale di Base (USB) che sta seguendo il caso, per le troppe assenze (qui). Col cancro non si vive e la storia di Simona lo dimostra, soprattutto in tempi come questi. Tempi in cui ogni diritto viene calpestato.
Lavoro e salute sono diritti inalienabili ed e` giunta l'ora di riappropriacerne, ad ogni costo. 

martedì 10 febbraio 2015

Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole

E anche quest'anno i controlli, quelli in grande stile, quelli che ti rivoltano come un calzino e te la fai sotto dalla paura sono passati. Come una scolaretta secchiona, sono stata promossa col massimo a cui una persona col cancro al seno possa apirare: No Evidence of Disease. Non e` stato riscontrato alcun segno visibile di ritorno della malattia. Questo non vuol dire che dal giorno successivo all'esecuzione di un determinato esame, ad esempio l'ecografia all'addome superiore, quel segno, il segno che indica la presenza di una metastasi, non si manifesti. Per il momento, comunque, la tregua continua. L'unica sorpresa e` stato l'incontro con una ginecologa che non mi aveva mai visitata prima, secondo la quale, il polipo endometriale causato dal Tamoxifene e` grandino e va tolto. Finora, mi era stato detto da un'altra ginecologa dello stesso ospedale che poteva restare li` in assenza di sanguinamento. Tra circa un mese mi sottoporro` all'intervento, che verra` eseguito in endoscopia e con anestesia generale e durera`, cosi` mi ha assicurato la dottoressa, circa dieci minuti. A distanza di una settiama mi verranno comunicati i risultati dell'esame istologico. Quest'ultimo servira` a confermare la benignita` del polipo. Si, confermare perche` non e` mica sicuro al 100% che lo sia. E come dice la mia oncologa "improbabile non vuol dire impossibile".
Il tamoxifene e` ad oggi il trattamento di prima scelta per i carcinomi del seno estrogenodipendenti. Il farmaco e` un modulatore selettivo dell'azione degli estrogeni che, in parole povere, vuol dire che blocca l'azione degli estrogeni nel seno, riducendo le probabilita` di recidiva locale (peraltro, in misura maggiore rispetto alle metastasi a distanza), ma ne potenzia l'effetto in altri organi, tra cui l'utero. Per questo motivo, il tamoxifene aumenta il rischio di cancro dell'endometrio, oltre che di poliposi endometriale che, nonostante la sua benignita`, comporta un'ulteriore medicalizzazione per chi tra medici, ospedali e interventi chirurgici c'ha gia` passato troppo tempo. E il rischio non diminuisce con la conclusione della terapia, ma dura nel tempo. Nonostante cio`, c'e` chi il tamoxifene vuole farcelo prendere per dieci anziche` per "soli" cinque anni. Il luminare in questione non e` certo uno qualunque. Si tratta di Richard Peto, epidemiologo di fama internazionale che, nel 1981, per conto dell'amministrazione Regan, pubblico`, insieme al collega Richard Doll, uno studio dal titolo The Causes of Cancer: Quantitative Estimates of Avoidable Risks of Cancer in the United States [Le cause del cancro: stime quantitative dei rischi di cancro evitabili negli Stati Uniti] in cui sosteneva che il 35% di tutti i casi di cancro fossero da attribuirsi alle abitudini alimentari, il 30% al fumo di tabacco, il 7% a fattori riproduttivi e abitudini sessuali, il 4% all'esposizione a cancerogeni per cause professionali, il 3% all'acool, un altro 3% a fattori geofisici, il 2% all'inquinamento dell'aria e l'1% a procedure mediche e prodotti farmaceutici (qui). La tiritera sugli stili di vita erronei come causa del cancro l'ha cominciata lui per sostenere politiche di deregulation neoliberiste a vantaggio delle grandi industrie, lasciate libere di esporre i lavoratori e, progressivamente, anche chi nelle fabbriche non c'e` mai entrato a sostanze cancerogene e mutagene.
La versione di Peto sul cancro e` diventata, manco a dirlo, quella dominante e gli e` fruttata una bella carriera. A distanza di quindici anni, il nostro si mette alla guida dello studio ATLAS - acronimo per Adjuvant Tamoxifen: Longer Against Shorter [Tamoxifene adiuvante: piu` lungo contro piu` corto] - cominciato nel 1996 e i cui risultati sono stati presentati nel 2012 (qui) . Tra i finanziatori dello studio figurano AstraZeneca, la casa farmaceutica produttrice del Tamoxifene, e persino l'esercito degli Stati Uniti. E il risultato qual e`? Che il tamoxifene va preso per dieci anni. Dieci. E se il rischio di cancro dell'endometrio raddoppia, passando dall' 1,6% al 3,1% ,non ce ne frega niente. E se il cancro al seno si poteva evitare attraverso la prevenzione, quella vera, che elimina l'esposizione a sostanze correlate con lo sviluppo della malattia o sospettate di esserlo, non ce ne frega. Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole, deve aver pensato il caro Peto. Personalmente gli rispondo che cinque anni di tamoxifene per me possono bastare e che della mia malattia lo considero moralmente responsabile.