lunedì 3 settembre 2012

Vanity Fair discolpati




Ottobre si avvicina. Ottobre, quello che dovrebbe essere il mese della "prevenzione" (ma quale?) sul cancro al seno e diventa invece sistematicamente ogni anno la fiera del rosa.
Estee Lauder, che la fiera del rosa l'ha ideata per prima, si sta gia` dando da fare a suonare la gran cassa della pubblicita`. Ovviamente non si tratta di pubblicita` in senso tradizionale. Per le modelle superfighe, coi seni turgidi e il braccialetto rosa sul braccio, c'e` tempo. Bisogna prima insinuarsi nella mente delle consumatrici ignare in maniera piu` soft. Niente di meglio allora che qualche bell'articolo celebrativo sulla grande filantropa ed eroina della causa del cancro al seno che - cosi` fanno credere - e` stata Evelyn Lauder.
La nota rivista "femminile" Vanity Fair, ha pubblicato nel suo ultimo numero, un articolo celebrativo sulla Lauder, con tanto di foto e agiografia. Di articoli del genere ne sono stati scritti e pubblicati tantissimi, ma questo di Vanity Fair intende celebrare il ventennale della "creazione" del nastro rosa - il pink ribbon - da parte di Evelyn Lauder. Niente di piu` falso!
"La storia di Evelyn Lauder" - comincia cosi` l'articolo di Irene Soave- "e` dedicata a chi pensa che il rosa sia un colore frivolo. [...] A chi crede che per una donna con il cancro al seno vestiti e make up siano solo ricordi. [...] La sua creatura, il nastro rosa simbolo della lotta contro il cancro al seno - una campagna nata nel 1992 e che da allora ha distribuito 115 milioni di pink ribbons in tutto il mondo - compira` vent'anni ad ottobre.".
La "sua creatura"? Siamo alle solite. Siamo alla solita, vecchia menzogna di Evelyn Lauder, paladina delle donne col cancro al seno, che inventa il nastro rosa. Menzognera perche`, come risaputo negli Stati Uniti, e ribadito piu` di recente su questo blog e dalla giornalista Susanna Curci sul settimanale Gli Altri in un articolo significativamente intitolato "Se il cancro al seno diventa un business. Si scrive Estee Lauder, si legge pinkwashing", Evelyn Lauder il nastro rosa lo ha rubato a una donna, Charlotte Haley, che, in quanto madre, figlia e sorella di donne col cancro al seno, aveva cominciato a fabbricare piccoli nastrini color pesca che poi distribuiva GRATIS. Evelyn Lauder e Alexandra Penney, allora direttrice della rivista statunistense Self, cercarono di convincere con le buone la Haley a cedere loro i diritti sul nastrino da lei inventato e confezionato. Di fronte al rifiuto di quest'ultima, la quale aveva espressamente dichiarato di non voler avere niente a che fare con Estee Lauder e Self , in quanto "troppo commerciali", passarono alle cattive. Dietro consiglio di un legale, decisero infatti di cambiare il colore del nastro, che da color pesca divento` rosa. E il business ebbe inizio. Estee Lauder, anche questo e` noto, devolve solo il 20% dei ricavati delle vendite alla ricerca sul cancro al seno, peraltro senza specificare dove e a chi esattamente vadano a finire i soldi. Non c'e` proprio niente di filantropico. Estee Lauder usa il cancro al seno e il dramma delle donne colpite dalla malattia per fare profitti.
Ma non finisce qui. Il pink ribbon e` stato un grande successo di marketing. Altre aziende produttrici di cosmetici (peraltro spesso contenti sostanze fortemente sospettate di essere cancerogene) e mercanzia varia hanno imitato Estee Lauder. Per farsi pubblicita` non hanno esitato ad offrire una rappresentazione del cancro al seno come qualcosa di "femminile", glamour, alla moda. L'hanno "normalizzato". E` importante ribadire che il cancro al seno e` una malattia mortale. Molte sono le donne che muoiono anche a distanza di molti anni. Sempre di piu` si ammalano e sono sempre piu` giovani. In Italia, siamo a una donna ogni otto e il 30% ha meno di 44 anni. L'esistenza di chi ha sviluppato la malattia e` contrassegnata di paura, trattamenti invasivi e debilitanti e un dolore sordo che periodicamente ritorna.
Farsi pubblicita` col cancro al seno fa schifo. E non e` nemmeno bello fare da vassalli a chi orchestra operazioni di questo tipo. Da Vanity Fair mi aspetto quanto meno una rettifica.

1 commento:

  1. "A chi crede che per una donna con il cancro al seno vestiti e make up siano solo ricordi"

    io non lo credo (cioè non credo che debbano esserlo per forza), certo è sicuro che per saperlo non si deve per forza seguire la Lauder (con tutto il rispetto per chi in buona fede aderisce a queste campagne)

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